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Note americane. Musica e culture negli Stati Uniti

Autore: 
Alessandro Portelli

Bruce Springsteen è il più importante eroe contemporaneo della classe operaia americana. Una classe che ha subito numerose sconfitte negli ultimi ventanni ma che ha ancora una grande forza vitale. Springsteen non nasce dal nulla, ma si ricollega consapevolmente a quella musica popolare nata a cavallo dell'immediato dopoguerra bene espressa dalle figure di Woody Guthrie e Pete Seeger. Portelli esplora il portato politico della musica pop arricchendo la ricerca con continue incursioni nel blues e nella musica nera, nel mondo proletario della country music, nei temi del lavoro, della guerra, della religiosità attraverso la canzone operaia, la musica gospel, il folk revival, il corrido del confine, la canzone politica, il rap. Un viaggio fatto di interventi e saggi elaborati dall'autore nel corso di trent'anni di lavoro. Le culture musicali sono le chiavi di lettura per entrare nelle vene profonde delle identità che danno forma agli Stati Uniti - da Robert Johnson a Elvis Presley, da Pete Seeger a Paul Robeson, da Bruce Springsteen a Woody Guthrie, da Dolly Parton e Loretta Lynn a Johnny Cash e Ani DiFranco. Una canzone romana del secondo dopoguerra lamentava il cambiamento dei costumi musicali del popolo: "Nanni, Nanni, ma perché te sei 'nnammorata de 'sta musica americana?" Io, di questa musica americana mi sono innamorato che avrò avuto sedici anni, quando scoprii attraverso Paul Anka, Elvis Presley, gli Everly Brothers e persino Pat Boone che la musica non era quella cosa noiosa per adulti fatta di Nilla Pizzi e Claudio Villa che ascoltavano i miei genitori (peraltro si convertirono presto anche loro!), ma qualcosa che poteva riguardare anche la gente della mia età, e anzi che ci definiva. Da quel momento, nonostante i limiti spaventosi delle mie competenze musicali, è stata proprio la musica ad aprirmi le porte della conoscenza di quell'America a cui ho dedicato passioni e lavoro tutta la vita. E stato il Kingston Trio, nientemeno, a farmi scoprire la musica popolare (poi a mano a mano sono andato avvicinandomi a fonti più affidabili - Peter Paul and Mary, Joan Baez, Bob Dylan, Woody Guthrie, Leadbelly, le registrazioni sul campo della Library of Congress... - ma comunque sono partito da lì). E stato Pete Seeger, insieme ai Freedom Singers, a farmi ascoltare il movimento per i diritti civili, e poi insieme a Barbara Dane, Phil Ochs e Tom Paxton a raccontarmi il movimento contro la Guerra del Vietnam. Sono state le canzoni degli Industrial Workers of the World ascoltate dalla voce di Cisco Houston a farmi scoprire che anche negli Stati Uniti era esistita la lotta di classe, ed è stato Merle Haggard a spalancarmi la comprensione delle complessità dell'identità operaia americana, e il blues di Robert Johnson a farmi capire l'intensità del senso del peccato e della lacerazione profonda che anima la modernità del blues. Anche la centralità del movimento delle donne l'ho davvero scoperta una sera che Barbara Dane cantò a me e ai compagni del <em>manifesto</em> il Blues di Ida Cox, "Wild Women Don't Get the Blues". Fu "I Hate the Capitalist System" di Sarah Ogan Gunning, moglie di un minatore di Harlan, Kentucky, a rivelarmi il luogo a cui avrei dedicato trent'anni di ricerche, di viaggi e di ascolti, che sarebbe diventato la mia "home-town" americana e da cui non riesco a staccarmi (c'è anche qui una canzone che lo spiega: "You'll Never Leave Harlan Alive", da Harlan non uscirai vivo, di Darrell Scott). Ogni pagina d'America che aprivo cominciava con una canzone; i libri venivano dopo.A forza di ascoltare l'America della musica popolare e del blues, mi ero chiesto se per caso non esisteva anche in Italia qualcosa del genere, e avevo cominciato a andare a cercarla - e altro che se c'era: Nannina non solo ogni tanto cantava ancora qualche stornello, ma magari si ricordava anche canzoni di lotta e di resistenza. Ma questa, come suol dirsi, è un'altra storia. E poi è arrivato Bruce Springsteen e ha rimesso tutto insieme, riconnettendo rock e storia culturale, divertimento e impegno. Quando sono uscite le Seeger Sessions, omaggio del rocker al grande folk singer, e quando li ho visti insieme cantare Woody Guthrie all'inaugurazione di Barack Obama, mi sono detto che forse, coltivando questa duplice passione, non avevo interamente sbagliato vita. Questo libro mette insieme alcuni frammenti di questa vicenda: comincia con l'asse Woody Guthrie-Bruce Springsteen, continua con incursioni nel blues e nella musica nera, esplora il mondo proletario della country music, approfondisce i temi del lavoro, della guerra, della religiosità. Sono quasi tutti interventi giornalistici (per lo più sul manifesto) - l'uscita di un disco, un fatto di cronaca - intrecciati a qualche lavoro saggistico più ampio, con tanto di note. Ma il linguaggio, lo sguardo, gli interessi sono gli stessi: un taglio non tanto musicologico (non ne sarei capace) quanto, direi, da "studi culturali". L'arco cronologico copre una trentina d'anni, ma ho privilegiato gli ultimi dieci-quindici, anche perché molte delle cose che avevo scritto prima erano state raccolte da altre parti. Le ripresento come sono state pubblicate a suo tempo, senza aggiornamenti e con pochissimi ritocchi solo formali. Questo libro esce nella serie dei "libri di Acoma" non solo perché io faccio parte della redazione della rivista, ma soprattutto perché a metterlo insieme hanno lavorato molti altri componenti del gruppo di questa rivista di studi nord-americani arrivata ormai oltre i 40 numeri, un risultato incredibile per una pubblicazione di ricerca poco sostenuta dall'accademia e inserita in un mercato difficile. Sono stati i compagni di "Àcoma" e di Shake a insistere perché mettessi insieme queste cose, e sono contento che me lo abbiano fatto fare. Anche di questo li ringrazio.